Tappo in sughero o tappo a vite? Il grande dilemma!

Il packaging di una bottiglia di vino è composto da diversi elementi, tra i quali l’etichetta, la contro etichetta, la capsula e il tappo, a cui è dedicato questo articolo, e intorno al quale si generano spesso animate discussioni tra sommelier.

Sul mercato esistono diverse tipologie di tappi ma quelli maggiormente utilizzati sono in sughero naturale; in silicone (il famoso tappo sintetico); in vetro e a vite o screwcap.

La tipologia di tappo maggiormente utilizzata dai produttori di vino italiani, sia per tradizione sia per facilità di reperimento della materia prima, è senza dubbio quella in sughero, anche perché l’Italia e nello specifico la Sardegna, insieme al Portogallo, è uno dei maggiori produttori mondiali di sughero.

Mentre nei confronti del tappo vite ci sono ancora molti pregiudizi, nonostante dal 2013 (D.L. del 24 settembre 2013) non esista più l’obbligo di usare il sughero per i vini DOCG, per favorire l’esportazione dei nostri vini sui mercati esteri.

Infatti sul mercato anglosassone (Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda) il tappo a vite è molto richiesto e non è vissuto come indicativo di vini di bassa qualità, come accade nel nostro paese. La chiusura in alluminio è preferita soprattutto dai wine lovers più giovani e in particolare dalle donne come ha dimostrato un sondaggio effettuato su un campione di 6.000 consumatori, nel 2015.

Lo screwcap, contrariamente a quanto si pensa e come dimostrato da diversi test, in teoria consentirebbe un invecchiamento più lento del vino (poiché non ci sarebbe la micro-ossigenazione legata al tappo in sughero) e di conseguenza si potrebbe apportare una riduzione della quantità di solfiti utilizzati (che fungono anche da conservanti).

Rimangono le riserve sull'uso dei tappi a vite nelle bottiglie destinate al lungo invecchiamento anche se i bianchi “Cork Free” dimostrano di reggere ammirevolmente. Anzi una degustazione parallela con gli stessi vini di un noto produttore altoatesino, tappati con screwcap e sughero dimostrava che, dopo 5 anni e oltre l’evoluzione del vino riservava piacevoli sorprese proprio grazie alla chiusura a vite. 

Purtroppo i retaggi culturali da superare sono ancora tanti e l’Italia e la Sardegna sono ancora lontane dal cogliere questa opportunità di sviluppo nelle vendite verso i mercati esteri attraverso una piccola modifica del packaging. 

Nel frattempo, come è possibile scongiurare il rischio della fastidiosa puzza di tappo legata all'utilizzo del sughero, che ci costringe spesso a rinunciare al prezioso contenuto di una bottiglia che presenta tale difetto?  

Il problema a cui la ricerca tenta da tempo di porre rimedio sono le devianze olfattive che arrivano dalle querce da sughero. I pesticidi e degli erbicidi, insomma l’uso della chimica in agricoltura, ci ha regalato questo problema. Infatti la molecola responsabile, il tricloroanisolo TCA è un derivato dal triclorofenolo che è arrivato nella natura a partire dagli anni ‘60. Dal terreno è poi salito nella corteccia degli alberi. Il TCA presente nel tappo di sughero contamina il vino e agisce sui centri nervosi, di chi avvicina il naso al bicchiere, inibendo la percezione degli odori e creando il noto fastidiosissimo effetto. Più che una puzza è il blocco dell’olfatto ma il risultato è l’impossibilità di apprezzare i meravigliosi profumi del vino. Purtroppo, il terreno dove crescono le querce da sughero, impiegherà molti anni per smaltire i pesticidi, non si tratta dunque di un problema di immediata soluzione anche perché gli alberi producono sughero quando hanno almeno 40 anni. 

Una delle ultime novità nella battaglia contro l’orribile puzzetta è la Nomacorc Green Line, una nuova tipologia di tappi ottenuti dalla canna da zucchero. I tappi sono belli alla vista e morbidi al tatto. Una tecnologia rivoluzionaria promette un controllo preciso dell’ossigeno che penetra nella bottiglia usando solo prodotti naturali con un impatto ambientale pari a zero. Nomacorc è un colosso industriale che detiene da solo il 70% delle chiusure sintetiche, ha prodotto 20 miliardi di tappi in 15 anni e lavora da tempo su tecnologie bio. La Green Line contiene una tipologia “Riserva” specificamente pensata per vini con un affinamento in bottiglia di 25 anni grazie a una permeabilità all’ossigeno programmato che si riduce nel corso del primo anno fino a stabilizzarsi a 0,6 mg ogni 12 mesi.

La ricerca di una soluzione al problema, spinge avanti la ricerca per dare alle cantine chiusure sempre più naturali e performanti. Ecco che DIAM, l’azienda francese che ha rivoluzionato i tappi di conglomerato cioè di particelle di sughero assemblate, ha puntato sulla tecnologia sfidando i monopezzo più costosi. Una decina d’anni fa, con il procedimento Diamant, ha iniziato a togliere al sughero le 140 molecole che possono causare alterazioni nel vino come il perfido TCA, ovvero la puzza di tappo. Più di recente è stato creato Origine, un tappo conglomerato fatto solo di componenti naturali. I corpuscoli di sughero sono infatti tenuti insieme solo da cera d’api e olio vegetale.

Un altro colosso produttivo, Amorim ha invece messo in campo una sorta di naso elettronico NDtech®, che individua i tappi puzzolenti con un gascromatografo. Quelli certificati costano circa il doppio dei sugheri monopezzo e solo i vini premium possono permetterseli ma stanno diventando un must che i buyer più attenti cominciano a chiedere insistentemente alle cantine.

E voi da che parte state? Siete tradizionalisti e schierati dalla parte del tappo in sughero sempre e per sempre o siete pronti ad accettare il tappo a vite anche per i vini prodotti in Italia?